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Che cos’è l’Antropocene e perché gli apicoltori dovrebbero occuparsene

di Greca N. Meloni



Secondo molti ricercatori e scienziati di tutto il mondo, la terra avrebbe abbandonato l’epoca dell’Olocene per entrare nell’Antropocene. Il termine Antropocene (da anhtropos = uomo e kainos = nuovo, recente) fu usato per la prima volta negli anni ’80 dal biologo statunitense Eugene Filmore Stoermer per indicare l’impatto delle attività umane sul pianeta. Il termine deve la sua notorietà al premio Nobel per la chimica Paul Creutzen che, a partire dagli anni 2000, utilizza questa nozione per indicare l’epoca geologica in cui ci troviamo, caratterizzata da modificazioni rapide a livello ambientale, sul suolo, sul clima, e su tutte le forme di vita a causa dell’azione dell’essere umano. Tuttavia, l’idea che l’umanità con le sue attività stesse esercitando una vera e propria ‘forza tellurica’ sul pianeta era stata avanzata dal geologo e paleontologo padre Antonio Stoppani già nel 1873. Egli proponeva di chiamare la nostra epoca era ‘antropozoica’. Sebbene la comunità scientifica non abbia ancora trovato un accordo sulla data d’inizio di questa epoca, da Stoppani a Creutzen, tutti sembrerebbero concordi nell’individuare nell’umanità l’origine di tutti i cambiamenti ambientali a cui stiamo assistendo, incluso quello climatico. E già nella definizione di ‘umanità’ spesso nasce il disaccordo.

Si può affermare con certezza che tutte le popolazioni del pianeta stiano agendo allo stesso modo sul pianeta e quindi provocando lo stesso tipo di modificazioni?


Molti risponderebbero di no a questa domanda sostenendo che, per esempio, lo sfruttamento della foresta amazzonica o delle foreste in Indonesia per la produzione di olio di palma non sarebbero da attribuire all’umanità intera ma a quelle società e quelle classi sociali che costruiscono il proprio rapporto con il mondo e con l’ambiente attraverso le logiche del libero mercato.


Riflettendo su questi temi, il geografo-storico e sociologo Jason W. Moore ha proposto il termine Capitalocene per mettere in evidenza l’impatto del capitalismo sullo sfruttamento ambientale a livello mondiale. Tuttavia, anche su questo termine la comunità scientifica mondiale continua a non trovarsi d’accordo e continua a discutere sui modi possibili di definire con un unico termine i cambiamenti che caratterizzano l’epoca in cui viviamo.

Eppure, su una cosa scienziati, filosofi e pensatori di tutto il mondo sembrano essere d’accordo: il cambiamento. Che si tratti di cambiamento climatico, che si tratti di deforestazione, che si tratti di innalzamento del livello del mare o dello scioglimento dei ghiacciai, il mondo come lo conosciamo sta cambiando rapidamente e forse non tornerà mai come prima.

Ma, come fa giustamente notare l’antropologo Tim Ingold, il ‘cambiamento’ presuppone la perdita di uno stato precedente che, in questo caso, si considera essere migliore di quello attuale. Questo porta a proiettare il presente nel passato e concentrare le proprie risorse per ripristinare ciò che si è perduto. Dunque, non si riesce a formulare delle risposte su come reagire a questi cambiamenti: si pensa a mitigarli, a controllarli, forse anche ad annullarli ma sempre affinché possiamo continuare a vivere nel mondo nello stesso modo in cui abbiamo sempre fatto. E proprio qui sta il problema: non vogliamo cambiare, non vogliamo trovare delle soluzioni diverse per vivere nel mondo.


E per quanto io stessa provi delle perplessità rispetto alla nozione di Antropocene, mi rendo conto che gli apicoltori, pur senza tematizzarla esplicitamente, la stanno vivendo e affrontando da lungo tempo. Il cambiamento climatico infatti ha un impatto notevole sulle specie vegetali che però, come sottolinea Stefano Mancuso, sono in grado di adattarsi e sopravvivere ai cambiamenti molto più della specie umana. Sono tanti gli apicoltori che hanno osservato dei cambiamenti nei comportamenti delle piante mellifere, soprattutto per quanto riguarda la produzione nettarifera. E non è un caso che in molti paesi del mondo le popolazioni di api siano in forte declino.

Da tanto tempo gli apicoltori hanno escogitato dei sistemi per adattarsi ai cambiamenti e mantenere in vita le proprie. E tuttavia questo processo di adattamento diventa sempre più difficile. Le continue deforestazioni e il business della cosiddetta ‘energia verde’ minacciamo costantemente il lavoro degli apicoltori. Non si tratta semplicemente di un problema economico legato alla mancata produzione di miele. La sopravvivenza delle api è a rischio.

In questo senso, gli apicoltori e l’apicoltura rappresentano una risorsa fondamentale per la gestione sostenibile delle risorse naturali. Per questo è indispensabile porre l’apicoltura al centro di tutte le attività sul territorio.

Infatti, non solo attraverso l’attività di impollinazione, le api e con loro gli apicoltori contribuiscono a garantire il ciclo biologico delle piante sia in zone agricole che nelle aree di montagna. Ma soprattutto gli apicoltori hanno imparato ad adattarsi e a trovare soluzioni per vivere nel mondo insieme alle api e alle piante.


Questo sapere esperto degli apicoltori ha un valore inestimabile e bisognerebbe prenderlo sul serio, se vogliamo imparare a vivere nell’Antropocene.




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