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Apicolture in crisi

Un fermo biologico per salvare le api?




Da qualche mese il mondo apistico nazionale sembra affrontare una delle più grosse crisi produttive degli ultimi anni. All’allarme lanciato qualche settimana fa dalla Coldiretti si è unito il report rilasciato dall’Osservatorio Nazionale Miele che ha dichiarato “l’emergenza apicoltura in questo avvio di stagione 2019”. L’attività di monitoraggio ha registrato un calo progressivo delle medie produttive di miele dovuto principalmente al “grave impatto del cambiamento climatico in atto che rende più intensi e frequenti gli eventi estremi, estremamente dannosi per l’apicoltura”. Come rilevato dall’Osservatorio, in molte aree del settentrione gli apicoltori hanno dovuto continuare a nutrire le famiglie di api, e anche nel centro e nelle isole le fioriture sono state ostacolate dal maltempo.

In generale si parla di un calo produttivo del 50% nelle aree più “fortunate” e del 100% nelle aree più colpite. Nei social network non si parla d’altro e gli apicoltori sono preoccupati perché “invece che andare a mettere melari, stiamo nutrendo le api per non morire di fame!”.

Sebbene le diverse riviste e giornali nazionali stiano contribuendo a sensibilizzare l'opinione pubblica sul problema della scomparsa delle api, è interessante come si ponga fortemente l’accento sul rischio che un azzeramento della raccolta del miele possa comportare un aumento delle importazioni da paesi stranieri con conseguente danno economico per i produttori italiani.

Tuttavia, dal momento che non si possono nutrire le api con lo zucchero per sempre e che la mancata produzione è strettamente connessa al loro stato di salute e alla sopravvivenza delle famiglie, sarebbe forse più opportuno riflettere su quali azioni intraprendere per far fronte al cambiamento climatico e impedire la morte di questi insetti. Il problema che ci si pone davanti sembra infatti essere troppo complesso per poter ridurre tutto a una questione meramente economica o di “mercato”. Anche se fosse possibile, impedire l’importazione di miele dall’estero non risolverebbe il problema degli apicoltori nel lungo termine: le api stanno morendo di fame e lo zucchero non è una soluzione.


Il parere degli apicoltori

Un aiuto per comprendere meglio i problemi e i rischi a cui sono sottoposte le popolazioni di api ci viene offerto dai loro custodi.

Una delle cose che ho imparato dagli apicoltori che hanno collaborato alla mia ricerca (non solo in Sardegna, ma anche in Austria, in Francia e in Valtellina dove ho lavorato di recente), è che per loro l’evento più traumatico, prima ancora della ridotta produzione, è la perdita delle proprie api. Gli apicoltori instaurano un rapporto profondo con loro, con l’ambiente che condividono e con gli altri esseri viventi con cui inter-agiscono. Chi lavora con gli apicoltori impara da loro a osservare le relazioni complesse che i diversi organismi instaurano tra loro.

Ad ascoltare gli apicoltori si capisce che le condizioni meteorologiche estreme che si sono manifestate negli ultimi mesi non sono il solo pericolo che minaccia la vita delle api. Una gestione errata delle risorse naturali contribuisce a rendere precaria la sopravvivenza di questi insetti. Il sistema di potatura a capitozzo, ad esempio, o ancora lo sfalcio d’erba e il taglio di alberi per legna o biomasse durante il periodo di fioritura, i programmi che prevedono l’eradicazione di piante mellifere considerate “allogene” (talvolta sostituite con piante “autoctone” ma con basso potenziale mellifero), insieme a sistemi intensivi e/o estensivi di produzione agricola che si basano sull’uso dei pesticidi sono tutti fattori che contribuiscono a ridurre notevolmente le possibilità di approvvigionamento del cibo per le api e per gli altri insetti impollinatori.


Una co-evoluzione tra api e piante


Recenti studi hanno dimostrato che le popolazioni di api sono strettamente legate alle popolazioni di specie mellifere in un rapporto di equilibrio tale per cui alla diminuzione della popolazione di piante di interesse apistico corrisponde a il calo della popolazione di insetti pronubi [i]. Più semplicemente, più si tagliano le piante mellifere, più muoiono le api. Ma la presenza di fiori sul territorio non sempre è garanzia di una buona stagione produttiva. Recentemente gli apicoltori sardi con cui lavoro hanno osservato un singolare fenomeno. Nelle ultime stagioni, nonostante i fiori fossero presenti sul territorio, le api non li visitavano affatto ed erano anzi poco interessate a fioriture che, in condizioni normali, sarebbero state molto nettarifere. Recente è la scoperta che i fiori rispondono alle vibrazioni emesse dal ronzio delle api aumentando notevolmente la secrezione nettarifera in modo da aumentare le possibilità di essere visitati dagli insetti impollinatori[ii].

Se, come è noto, la co-evoluzione tra api e fiori ha portato questi ultimi a modificare forme, colori e profumo per rendersi più appetibili e attirare maggiormente gli insetti impollinatori essenziali per la loro sopravvivenza e per la continuazione della specie, come mai alcuni fiori hanno smesso di cercare l’attenzione delle api? È possibile che questo inusuale atteggiamento rappresenti una forma di risposta frutto di un processo di lunga durata connesso al cambiamento climatico in atto ormai da diversi decenni?


Commissioni apistiche locali e fermo biologico per le api?


Non potendo rispondere con certezza a questa domanda, possiamo però pensare ad alcune soluzioni che potrebbero forse aiutare a risolvere il problema complesso della crisi dell’apicoltura.

Nell’ottica di imparare dalle api attraverso chi le conosce meglio, e cioè gli apicoltori, si potrebbe ipotizzare l’istituzione di “commissioni apistiche” locali composte da apicoltori che esprimano il proprio parere sui progetti di gestione delle risorse naturali nei territori comunali o provinciali e che supportino gli enti locali nelle politiche di gestione ambientale. In questo modo, essi verrebbero coinvolti direttamente nelle politiche decisionali offrendo il loro sapere esperto.

Si potrebbe poi pensare a una sorta di “fermo biologico” a favore delle api che permetta il taglio di piante e fiori solo dopo il periodo di raccolta del miele e che dunque, così come accade per i pesci, consenta ad api e piante di completare il ciclo biologico necessario alla continuità delle specie. Inoltre, dal momento che la sopravvivenza delle api è strettamente connessa alla presenza di fiori sul territorio, impedire qualsiasi attività di taglio o sfalcio durante il periodo di fioritura e quello immediatamente precedente, garantirebbe pascolo a sufficienza non solo alle api ma anche agli altri insetti impollinatori.

Infine, si potrebbero valutare delle formule per incentivare coloro che possiedono piccoli appezzamenti di terreno, i cosiddetti terreni incolti, a piantare specie vegetali mellifere e creare anche delle filiere virtuose con gli altri comparti del settore primario, cioè pastorizia e agricoltura che includano l’apicoltura come attività fondamentale al benessere delle altre.

Questi piccoli provvedimenti favorirebbero una cooperazione tra enti locali e operatori sul territorio, e potrebbero configurarsi come un tentativo “dal basso” di agire con azioni concrete contro il cambiamento climatico e i suoi effetti nel mondo che co-abitiamo con altre specie.



Greca N. Meloni




 

[i] M.A. Fishman, L. Hadany, “Floral advertisement and the competition for pollination services” in BioSystems 132–133 (2015) 35–42


[ii] M. Veits et al., “Flowers respond to pollinator sound within minutes by increasing nectar sugar concentration” in bioRxiv (2018) doi: https://doi.org/10.1101/507319



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