di Greca N. Meloni
‘Sì, va bene, ma tu che cosa fai in realtà? ’ Questa è la domanda che tutti, compresa mia madre, mi pongono quando parlo di antropologia dell’apicoltura. Ma quindi tu sei un’apicoltrice? Ma le api come stanno? Perché le api stanno morendo? Ma è vero che le api stanno morendo? Ma come faccio a sapere quando il miele è buono? Ma poi cosa c’entra la cultura con le api?
“Cosa c'entra la cultura con l'apicoltura?”
Da queste semplici domande emergono alcuni aspetti interessanti: innanzitutto la percezione diffusa che quando si parla di apicoltura tutto ruoti attorno alle api e al miele, considerati i due protagonisti principali. Il secondo aspetto, estremamente interessante, è che per parlare di apicoltura – o studiarla come in questo caso – bisogna essere apicoltori o apicoltrici.
Partiamo da quest’ultimo aspetto. In effetti, l’apicoltura è una pratica estremamente complessa che richiede un buon grado di competenze, esperienza e professionalità.
Bisogna ammettere che solitamente è difficile che una persona esperta in un determinato settore provi piacere a condividere le sue esperienze con persone ‘esterne’ ovvero che non hanno competenze in quel settore, salvo che in un rapporto del tipo alunno-insegnante. Proprio questo tipo di rapporto ha caratterizzato il lavoro delle antropologhe Lisa Jean Moore e Mary Kosut che per poter meglio indagare il fenomeno dell’apicoltura urbana a New York hanno preso parte a un corso sull’apicoltura. Prima di imparare come gli apicoltori interagiscono con le api, hanno dovuto imparare a ‘stare con le api’, cioè hanno imparato a muoversi in un apiario, hanno imparato a riconoscere i gesti, i tempi, il ritmo dell’apicoltura, ma anche le pratiche di conduzione apistica, e scoperto ‘il linguaggio’ delle api oltre che quello degli apicoltori. È così che Kosut e Moore hanno rivolto l’attenzione sulle api, anche loro soggetti partecipanti all’indagine etnografica insieme agli apicoltori.
“Our practice of simultaneously taking notes about bees combined with learning how to become a beekeeper, while also attempting a sociological meta-level analysis of who was in the room and thinking about their concerns and connections to other humans and European honeybees, was a challenge“
Buzz: Urban Beekeeping and the Power of the Bee
di Lisa J. Moore e Mary Kosut
La mia ricerca differisce da questo lavoro non solo per il contesto geografico – aree rurali della Sardegna invece che area urbana – ma anche per la mia posizione nel campo dell’apicoltura. Infatti, faccio parte di una famiglia di apicoltori e si potrebbe dire che ho imparato ‘a stare con le api’ mentre muovevo i miei primi passi. Non era raro che i miei genitori mi portassero con loro in apiario, magari prima di fare un trasporto, oppure semplicemente durante un controllo di routine. E sicuramente da adolescente, una delle cose che amavo fare era accompagnare mio padre durante la smielata, nonostante luglio, i 40° gradi all’ombra, la tuta, la maschera, i guanti e gli stivali di gomma fino al ginocchio per proteggersi dalle punture. E nonostante questo, sbuffavo ogni qualvolta che mio padre discuteva di apicoltura con i miei zii e miei nonni: ‘Uffa, ancora con queste api! ’
Questa sorta di lungo apprendistato mi porta ad occupare una posizione diversa sul campo e cioè, più concretamente, so quale posizione occupare rispetto agli alveari per evitare che le api mi considerino una minaccia e di conseguenza, per evitare che mi attacchino. Inoltre, conoscere l’apicoltura, saper fare praticamente, mi porta anche a costruire la ricerca etnografica in maniera differente. In altre parole, non dover imparare a ‘stare con le api’ mi permette di focalizzare la mia attenzione sulle pratiche e i saperi legati all’apicoltura, ma anche sulla cultura apistica in senso allargato, le problematiche legate alla gestione dell’ambiente e gli aspetti politici e socio-economici che influenzano il settore dell’apicoltura in Sardegna. E proprio qui mi ricollego a ciò di cui ho parlato in apertura, e cioè alla percezione che l’apicoltore sia un semplice venditore di miele, e che quindi le api e il miele siano gli elementi più importanti dell’apicoltura.
Devo ammettere che quando nel 2016 ho intrapreso questo ‘viaggio’, avevo una visione dell’apicoltura in Sardegna, e più in generale dell’apicoltura, piuttosto ingenua, che si potrebbe riassumere nelle parole del grande apicoltore Luigi Manias:
“Un’apicoltura che inizia con A di apiscampo e finisce con Z di zigrinatore“
Avevo cioè la convinzione, rivelatasi poi totalmente errata, che l’apicoltura ruotasse attorno a un insieme di pratiche che iniziavano in apiario, con le attività legate al controllo della sciamatura, alla produzione di regine e alla smielata, e si completavano in laboratorio, con il processo di estrazione del miele e successiva vendita. L’idea cioè che il lavoro degli apicoltori iniziasse a febbraio, con i primi controlli invernali, proseguendo per tutta la primavera per raggiungere il picco di lavoro nei mesi di luglio e agosto per poi fermarsi nei mesi autunnali, dedicati alla vendita del prodotto raccolto, salvo poi riprendere tra novembre e dicembre per la raccolta del miele di corbezzolo.
La ricerca sul campo e l’analisi nel dettaglio dei fenomeni e delle questioni legate all’apicoltura in Sardegna hanno dimostrato che fare apicoltura va ben oltre la semplice produzione di miele o di api regine, si tratta di un fenomeno molto più complesso che coinvolge tantissimi fattori di cui è indispensabile tenere conto. Fare apicoltura oggi vuol dire essere coinvolto nei processi di gestione e sfruttamento delle risorse naturali e del paesaggio, nelle politiche agricole comunitarie e regionali, far parte del dibattito mondiale sulle politiche di tutela e conservazione della biodiversità, ma anche interagire con gli effetti della globalizzazione sull’ambiente e sul mercato del miele e dei prodotti apistici. Essere apicoltori oggi significa questo e molto altro.
E dunque, per tornare alla domanda che tutti mi pongono: ‘Ma tu cosa fai quindi? Cosa ‘cerchi’? ‘
Lo scopo della mia ricerca è quello di utilizzare gli strumenti del sapere antropologico per analizzare tutto ciò che va al di là della Z di zigrinatore e cioè indagare su quel ‘molto altro’ che si nasconde dietro il significato di ‘biodiversità’, ‘autoctono’, ‘autentico’, ‘tradizionale’ e cioè, in altre parole, capire cosa significa fare apicoltura in Sardegna oggi. Cercherò quindi di rispondere alle domande che mi sono state poste e di farne tante altre, e di raccontare cosa ha che vedere l’antropologia con l’apicoltura.
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