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Immagine del redattoreGreca Meloni

Il cambiamento climatico e l’apicoltura.

Intervista con il meteorologo Matteo Tidili.*

di Greca N. Meloni



Sardegna, Sarrabus. Apiario colpito dall'alluvione del 10 ottobre 2018.

Negli ultimi anni si sta assistendo a una sempre maggiore diminuzione delle produzioni di miele accompagnata spesso a una forte moria delle colonie di api. Uno dei fattori che incidono maggiormente nella salute delle api e che contribuisce ad accelerare gli effetti di questo trend negativo nell’apicoltura è certamente il cambiamento climatico.

Durante la ricerca etnografica, diversi apicoltori hanno sottolineato come a causa del cambiamento climatico le fioriture, soprattutto quelle legate alla produzione dei mieli più caratteristici della Sardegna, si sono progressivamente ridotte nell’arco degli ultimi vent’anni, comportando spesso una riduzione non solo in termini quantitativi ma più in generale delle varietà di mieli prodotti. In altre parole, il clima sta avendo un forte impatto nella diversità delle produzioni riducendo la molteplicità dei mieli disponibili sul mercato.


Un aspetto estremamente interessante, di cui però si tende a parlare poco, è l’impatto che il cambiamento climatico ha avuto e continua ad avere sulle pratiche di conduzione degli alveari. I lunghi periodi di siccità, le frequenti alluvioni, che si alternano a lunghi periodi in cui condizioni di vento forte devastano il territorio, sono tutti elementi che l’apicoltore è costretto a considerare quando pianifica l’anno apistico non solo dal punto di vista della variabilità delle produzioni, che certo ha conseguenze importanti dal punto di vista economico aziendale, ma soprattutto a valutarne l’impatto concreto sulla salute delle famiglie di api. Senza voler entrare in dettagli troppo tecnici, è chiaro che i lunghi periodi di siccità che si estendono anche durante i mesi invernali, compromettendo in misura differente le capacità nettarifere della flora spontanea, comportano l’esigenza di integrare l’alimentazione delle api per evitare la morte delle colonie per fame. Non mi riferisco dunque alle convenzionali tecniche di alimentazione per garantire delle famiglie forti all’inizio della stagione primaverile, ma più specificamente a quelle pratiche che diventano indispensabili in condizioni climatiche estreme come quelle accennate poc’anzi.


Gli eventi alluvionali di ottobre hanno evidenziato le criticità dei programmi di gestione del territorio così come le contraddizioni della lotta all’abusivismo. Immediata è stata la risposta degli enti amministrativi per valutare i danni soprattutto alle attività agricole. Tuttavia, bisogna evidenziare una certa difficoltà da parte degli organi competenti, a valutare i danni che il maltempo causa al comparto apistico.

In questo caso, infatti, è indispensabile uscire dalle categorie di valutazione del danno comunemente formulate per agricoltura e allevamento ed essere pronti a ripensare l’apicoltura come attività complessa non connessa esclusivamente ai terreni posseduti dall’apicoltore ma al contrario molto più legata alle sorti dell’intero ecosistema. In effetti, sebbene le tecniche di integrazione alimentare con utilizzo di zucchero sono pratiche abbastanza comuni in apicoltura, è anche vero che al contrario di altri animali che si cibano di foraggio per esempio, le api non possono essere alimentate esclusivamente con lo zucchero, e la loro sopravvivenza dipende in larga misura dalla disponibilità di organismi vegetali ricchi di polline e nettare.

Si pensi per esempio ai terreni incolti a cui generalmente non viene attribuito alcun valore economico, e che invece sono spesso foraggere di estrema rilevanza per le api e dunque sostegno per il comparto apistico.



Sardegna, Uta. Rete stradale rurale dopo il 10 ottobre 2018.

Nel caso dell’alluvione che ha colpito la Sardegna a ottobre, dunque, i danni subiti dagli apicoltori non si limitano esclusivamente alla perdita di famiglie, ma anche e soprattutto ai danni riportati alle fioriture spontanee o alla viabilità delle zone rurali. L’ingente quantità d’acqua che in alcune zone ha distrutto la rete viaria nelle campagne ha impedito, e in alcuni casi ancora impedisce, l’accesso degli apicoltori agli apiari locati nelle zone montane, e proibendo all’apicoltore di mettere in atto tutti quelle pratiche di tutela della sopravvivenza delle colonie d’api che si attuano in queste circostanze. In alcuni casi, inoltre, la perdita della rete stradale ha anche precluso la possibilità di raccogliere il miele delle fioriture autunnali. Inoltre, secondo le testimonianze degli apicoltori colpiti, in molti casi i fiori sono letteralmente marciti a seguito di tanta acqua piovana, altro fattore estremamente rilevante da tenere in considerazione che comporta delle perdite economiche di una certa importanza. A questi fattori, si aggiungono naturalmente i danni diretti agli apiari. Alcuni di essi sono stati spazzati via dalla forza dell’acqua, comportando la morte delle famiglie e la perdita di tutto il materiale apistico, quando non anche dell’eventuale raccolto.

Come si vede l’apicoltura è un’attività molto complessa che necessita a sua volta di soluzioni complesse pensate su misura.


L’intervista che segue, insieme al meteorologo Matteo Tidili, coinvolto direttamente in occasione degli eventi che hanno colpito diversi comuni del Sarrabus e della provincia di Cagliari lo scorso 10 ottobre 2018, vuole offrire l’occasione per riflettere in maniera critica su questo argomento e sulle conseguenze disastrose che il costante surriscaldamento atmosferico sta avendo sul territorio. Come lo stesso Tidili fa notare, la frequenza con cui eventi estremi come le alluvioni si susseguono rapidamente, evidenzia la necessità di riflettere sul cambiamento climatico, forse anche come attore che esercita un ruolo importante sul mondo e di cui dovrebbe essere considerata la sua azione quando si formulano i piani di gestione del territorio, che dovrebbero essere formulati con una visione di lungo raggio. Questo comporta essere in grado di valutarne le reali conseguenze sul suolo e sulle attività umane ad esso connesse come l’agricoltura, la pastorizia, e infine l’apicoltura.



Per cominciare, dal punto di vista scientifico, cosa è il cambiamento climatico?

Per cambiamento climatico si intendono gli effetti registrati sul pianeta a causa del riscaldamento globale, fenomeno che si trasmette sia all’atmosfera che agli oceani e che viene studiato dall’IPCC (proprio nei giorni scorsi è uscito l’ultimo rapporto). Tra gli effetti osservati, a causa dell’immissione in atmosfera di gas a effetto serra, su tutti un aumento della temperatura media globale e una maggiore frequenza di fenomeni meteo estremi (dai singoli temporali, alle alluvioni, i nubifragi, i periodi siccitosi etc.).


A livello mondiale si parla di surriscaldamento globale e di scioglimento dei ghiacciai, però mi sembra di notare che c’è una certa tendenza se non a negare almeno a non dare grande rilevanza agli effetti del cambiamento climatico in aree come la Sardegna. Mi potrebbe aiutare a capire quali siano gli effetti registrati in Sardegna e nel mediterraneo?

Il riscaldamento globale, pur agendo su tutto il globo, è maggiore e produce di conseguenza effetti maggiori su aree più ristrette chiamate hot-spot. Tra questi è presente appunto anche il Mediterraneo dove negli ultimi decenni le temperature medie, sia atmosferiche che marine, sono in costante aumento (in alcuni anni, come quelli dell’ultimo decennio, anche intenso). Periodi anticiclonici molto lunghi si alternano a fasi perturbate molto violente che, in virtù di un aumento delle temperature e quindi di maggior umidità disponibile, degenerano in alluvioni lampo.


Il 2017 è stata un’annata disastrosa per l’apicoltura in Sardegna, la siccità protrattasi fino ai mesi invernali sembrerebbe aver inibito la produzione nettarifera e pollinifera dei fiori, e in molti casi questo ha comportato una forte moria di api, cioè sono morte di fame. Poi però è seguita una stagione molto piovosa, tanto che ad agosto io stessa ho potuto constatare la presenza di piccoli torrenti nelle campagne tra Uta e Capoterra che generalmente si riempiono solo nei mesi invernali. Questo può essere considerato un effetto del cambiamento climatico?

In piccolo quest’anno ha proposto in Sardegna i due estremi meteo. Da una parte la siccità, frutto appunto di prolungate fasi anticicloniche dette “di blocco atmosferico”, dall’altra, adesso, rovesci e temporali spesso a carattere di nubifragio e/o alluvionale per l’elevato serbatoio energetico (calore latente) disponibile nei bassi strati atmosferici surriscaldati. Per quanto riguarda l’ultimo fenomeno alluvionale non dobbiamo guardare solo all’intensità dell’evento (eccezionale ma non estremo come quello del 2008) bensì al fatto che negli ultimi 20 anni si è ripresentato in maniera sempre più frequente.


Gli eventi della scorsa settimana sono stati disastrosi, però da utese ricordo bene altri eventi simili nel 1999 per esempio. Un apicoltore mi ha fatto notare che le alluvioni sembrerebbero un evento abbastanza frequente nella Sardegna meridionale, a cui sostanzialmente dovremmo abituarci (qui il link a cui ha fatto riferimento: http://www.geologi.sardegna.it/notizie/archivio/arch-articoli/article/2008/ottobre/cronistoria-degli-eventi-alluvionali-nella-sardegna-meridionale/ ). Quanto c’è di “normale” nell’alluvione degli scorsi giorni? Il cambiamento climatico non ha niente a che vedere con l’alluvione?

Come detto prima analizzando il singolo evento non possiamo dire “questa alluvione è frutto dei cambiamenti climatici” perché, per poterlo fare, bisogna contestualizzare il fenomeno nel trend degli ultimi 20/30 anni. I fenomeni alluvionali ci sono sempre stati, come si evince dalla cronistoria degli eventi dal 1795 ad oggi, e hanno spesso interessato le medesime aree che risultano non a casa esposte alle correnti più umide ed instabili presenti sul mediterraneo che sono quelle di scirocco. Questi eventi avevano tempi di ritorno pluridecennali o centenari ma ora si ripresentano a distanza di pochi anni.


Se ho capito bene, eventi drastici come le alluvioni sono un fenomeno tutto sommato abbastanza comune nelle zone meridionali della Sardegna, per la loro esposizione a correnti specifiche che favoriscono il generarsi di questi eventi. Ciò che però sta cambiando è la frequenza con cui si verificano? È aumentata?

Sì, i fenomeni alluvionali in Sardegna sono un fenomeno da sempre conosciuto e documentato, negli ultimi decenni tuttavia i tempi di ritorno di questi fenomeni si stanno accorciando e adesso i nubifragi/alluvioni lampo si verificano a distanza di pochi anni l’uno dall’altro e spesso con intensità di precipitazione che ancora non avevamo mai registrato.


Gli apicoltori sostengono che negli ultimi vent'anni a causa delle mutate condizioni climatiche le produzioni di miele sono fortemente calate, in alcuni casi anche la gestione delle famiglie è cambiata. Certo, sono complici anche altri fattori, dovuti alla globalizzazione e alla gestione territoriale, però in generale, nella Sardegna degli ultimi 20 anni, cosa è cambiato a livello climatico e in che misura?

Per quanto riguarda la Sardegna negli ultimi 20 anni possiamo fare un discorso generalizzato che riguarda l’intero bacino del Mediterraneo che, come ho già accennato, va considerato come hot-spot del cambiamento climatico e quindi soggetto a ripercussioni più marcate rispetto ad altre parti del globo. Va detto che abbiamo riscontrato una diminuzione delle medie pluviometriche annue (piove di meno nell’arco di un anno) e le precipitazioni hanno una distribuzione irregolare nel tempo, ossia a periodi siccitosi più o meno lunghi si susseguono fasi marcatamente instabili nelle quali, nel giro di qualche giorno, può piovere la quantità di pioggia che normalmente cade in un paio di mesi o, come nel recente caso di Capoterra (10 ottobre) di un anno.






 

* Ringrazio Matteo Tidili per la sua disponibilità a fornire il suo contributo in questo articolo e per avermi aiutato a capire meglio l’argomento. Un ringraziamento speciale anche agli apicoltori che mi hanno gentilmente fornito le immagini del disastro.

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