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Ius soli: alberi, biomasse, green economy e apicoltura

di Greca N. Meloni


Credits: Greca N. Meloni

La prima volta che ho guardato ciò che avevano fatto quelle macchine ho avuto una sensazione di smarrimento. Non riuscivo più a riconoscere il paesaggio di fronte a me, un paesaggio che conoscevo bene. Non era come quando avevano tagliato con le motoseghe, gli alberi non c’erano più, ma rimaneva la loro traccia sul terreno e alla base si vedevano i germogli futuri, pronti a riprendere, verdi e rigogliosi. Questa volta sembrava che la terra fosse stato percorsa da uno tsunami, rivoltata dalle viscere fino alla superficie, distrutta, violentata. I pochi arbusti di macchia mediterranea che si vedevano qua e là sembravano anch’essi sconvolti, come se il suolo fosse stato scoperchiato e loro fossero rimasti lì, non si sa bene a fare cosa, non si sa bene perché. Ricordo che oltre alla sensazione di angoscia, mi sono chiesta: è davvero questo l’unico modo per tutelare la biodiversità di quest’isola?


 

Il Piano Energetico Ambientale della Regione Sardegna 2015 – 2030 propone “un modello energetico che sia strumento di crescita economica e sociale, supporto alle attività produttive e in equilibrio con le politiche di tutela ambientale.” In linea con gli obiettivi delineati dal programma Horizon 2020, la Regione Sardegna punta a un “approvvigionamento delle biomasse che sia sostenibile da un punto di vista sia economico-finanziario [che] ambientale” [i]. Nel Contratto quadro del Ministero delle Politiche Agricole si legge che il progetto di trasformazione agro-energetico proposto dalla Powercrop Macchiareddu è stato considerato di «interesse nazionale» dal Comitato Interministeriale. [ii] Sembrerebbe dunque che le biomasse rappresentino un tassello fondamentale verso la conversione del nostro sistema di produzione energetica secondo il principio di sostenibilità.

In molti di questi piani di gestione ambientale si ripete spesso la parola «rinaturalizzazione». Questa viene utilizzata per definire le azioni da intraprendere per ripristinare gli habitat naturali in territori fortemente degradati. Nel caso della Sardegna, compare in tutti i programmi di tutela della biodiversità che hanno come obiettivo principale il ripristino delle specie botaniche autoctone. «Rinaturalizzazione» è una parola che compare spesso anche nei progetti di approvvigionamento di biomasse che individuano nell’Eucalyptus una delle migliori fonti di rifornimento, in cui il prelievo di ceppaie viene dilazionato in un arco di 20 anni, “secondo i ritmi dettati dalla risposta in termini evolutivi delle specie autoctone di sostituzione”. [iii] In altre parole, i progetti prevedono che le specie autoctone sarde sostituiranno l’«allogeno» Eucalyptus nel giro di circa vent’anni.


Nocciolo in fiore

È interessante che in numerosi altri progetti di riqualificazione ambientale e/o utilizzo «sostenibile» del territorio siano sempre previsti almeno vent’anni di contratto tra la ditta proponente e il proprietario del terreno. Un caso è quello del Progetto Nocciola Italia [iv] promosso dalla Ferrero Hazelnut Company [v], che nel suo “programma strategico di riconversione del nostro territorio” prevede accordi di filiera di produzione della nocciola «made in Italy» della durata di circa 20 anni, durante i quali l’azienda si impegna a sostenere gli agricoltori acquistando le produzioni. In questo caso verrebbero «vincolati» alla produzione di nocciole i terreni incolti, considerati poco produttivi e «inutili» dal punto di visto agro-economico. Come si legge nello stesso sito della FHC, dopo l’impianto, la pianta di nocciolo fornisce scarsi frutti per i primi anni, raggiungendo la massima produzione solo tra il decimo e il dodicesimo anno. Dopo 45 anni dall’impianto la pianta invecchia e le produzioni calano drasticamente. Un progetto di lunga durata insomma, con un impatto notevole sul territorio.

Tuttavia, non quanto l’impatto della «innovativa» coltivazione di bambù che dura ben cento anni. Secondo quanto riportato in un articolo apparso sulla Nuova Sardegna [vi], l’Isola potrebbe diventare il «bambuseto» dell’Italia se si riuscisse a convincere i proprietari terrieri che il futuro del settore agricolo è legato al business del bambù, un business “in linea con le esigenze della società moderna e dell’ambiente”. Bisogna solo assicurare l’apporto idrico consistente per i primi 3-4 anni e forse anche successivamente. [vii]


Ciò che accomuna tutti questi progetti di riconversione o gestione ambientale non è solo l’impatto a lungo termine sul territorio, da 20 fino a 100 anni, ma anche il costante riferimento alla «sostenibilità» del piano, come a garantire la bontà del progetto. Ma cosa si intende con la parola «sostenibile»? Cosa significa sostenibilità per il territorio e i suoi abitanti?


Foresta di bambù

Nel senso comune la sostenibilità fa pensare a piani di gestione territoriale basati sulla tutela e il rispetto dell’ambiente naturale. Piani di sfruttamento delle risorse, dunque, che utilizzano il territorio rispettando l’ambiente e i suoi abitanti e che hanno il pregio di rilanciare l’economia rurale da tempo in difficoltà. Tuttavia, questi progetti in realtà nascondono delle insidie per una delle attività principali legate all’economia agricola e al benessere ambientale: l’apicoltura. Si pensi per esempio all’utilizzo dell’Eucalyptus per sostenere gli impianti a biomasse. Come si evince dal Piano di approvvigionamento della biomassa che si sarebbe dovuta realizzare a San Quirico (Oristano), i tagli “cauti, capillari e continui” hanno l’effetto di impedire alla pianta di raggiungere la maturità dopo il taglio e quindi di essere pronta per la fioritura. Questo fatto, da solo, ha enormi conseguenze per la produzione di miele ma soprattutto per la sopravvivenza delle api domestiche e selvatiche. Le api, infatti, non possono essere alimentate con foraggio sostitutivo come si fa normalmente con le pecore o le mucche, e l’unica fonte alimentare rimane il nettare e il polline che raccolgono dai fiori. Senza i fiori le api muoiono di fame.


Ape su fiore di eucalyptus

L’eucalyptus è una pianta altamente nettarifera che, in condizioni ottimali, arriva a produrre fino a 200 Kg di miele per ettaro. [viii] Lo stesso ettaro di terreno è in grado di generare 18 tonnellate di biomasse. Prendendo come esempio la centrale di Macchiareddu (Cagliari) che necessita di 150 mila tonnellate di biomasse all’anno, essa da sola assorbirebbe una superficie in grado di produrre, in condizioni ottimali, fino a 16.600 quintali di miele, più della media di produzione totale della Sardegna fino al 2017. [ix]

Di conseguenza, i tagli continui e ripetuti, senza che venga preso in considerazione il ciclo di fioritura della pianta, avrebbero conseguenze disastrose sulla salute delle api, che si vedrebbero private di una fondamentale fonte foraggera.

Sebbene una apposita legge Regionale (2015) indichi l’apicoltura come una attività agricola “di interesse regionale ai fini della conservazione dell'ambiente naturale e dello sviluppo sostenibile […] in quanto concorrente a garantire l'impollinazione naturale e la biodiversità ambientale” (art. 1), sembrerebbe che per salvaguardare l’azione di impollinazione delle api sia sufficiente impedire l’utilizzo di trattamenti chimici durante il periodo di fioritura. [x]

A tutela dell’apicoltura e delle api domestiche e selvatiche si sta da qualche tempo muovendo l’Unione Europea, che si è resa conto dell’importanza dell’impollinazione per opera degli insetti pronubi che fino a oggi è stata spesso data per scontata. Nella Risoluzione del Parlamento europeo del 1° marzo 2018 si legge chiaramente che le api e gli altri insetti impollinatori “garantiscono […] la riproduzione di molte piante coltivate e selvatiche, provvedendo alla produzione e alla sicurezza alimentari nonché alla tutela della biodiversità, a titolo gratuito, in Europa e nel resto del mondo”. [xi] Sempre nella Risoluzione parlamentare si individuano nei cambiamenti climatici, nel degrado ambientale, nella erosione degli habitat alcune delle cause della graduale scomparsa delle piante da fiore. In questo quadro, in virtù del fatto che le api dipendono dai terreni agricoli, dal momento che le superfici e la diversità delle colture rappresentano la loro principale fonte di nutrimento, si sottolinea come “sarebbe [..] utile sia per gli apicoltori sia per gli agricoltori prevedere determinate aree di interesse ecologico denominate ‘zone di apicoltura’.”

Verrebbe da chiedersi, dunque, come mai questo particolare non venga preso in considerazione quando si parla di sostenibilità e di eco-compatibilità nei progetti presentati in Sardegna. Si pensi al progetto dei noccioleti, venduto come una svolta nel settore agricolo per produrre benessere economico eco-sostenibile ma che di fatto si sta già configurando in altre regioni d’Italia [xii] come una monocultura che impoverisce la biodiversità ambientale e che ancora una volta priva le api domestiche e selvatiche della possibilità di procacciarsi il cibo.

L’idea di convertire gli «inutili» terreni incolti è anche alla base del più grottesco progetto di trasformare la Sardegna nel bambuseto d’Italia. Anche in questo caso, sebbene la coltivazione di bambù venga proposta come soluzione sostenibile in termini ambientali per far ripartire l’economia rurale, in realtà il progetto non considera le conseguenze potenzialmente devastanti sulla biodiversità del territorio e sulle popolazioni di api della Sardegna.

Credits: Greca N. Meloni, 2018

Ma c’è dell’altro. Tutti questi progetti sono accomunati dalla tendenza a non considerare il probabile impatto di queste azioni sui vari organismi umani e non umani che popolano il territorio. Lungi dal fornire soluzioni sostenibili per l’ambiente, rischiano di scaricare sulle generazioni future il peso delle conseguenze dello sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, non concependo il diritto «della terra» ai suoi tempi e ai suoi ritmi, frutto di una interazione non interamente racchiudibile nella progettazione e azione dell'umano.

Il caso del bambù è certamente il più esemplificativo. Alcuni studi scientifici hanno valutato gli effetti sul suolo dovuti alla diffusione del Bambù Moso in alcune regioni della Cina. Sembrerebbe infatti che la diffusione rizometrica del bambù, assumendo caratteri infestanti, alteri la composizione microbiotica del sottosuolo, con conseguenze negative sugli ecosistemi in termini di perdita della biodiversità. [xiii] In altre parole, a fronte di limitati benefici economici solo per pochi, una coltivazione di questo tipo potrebbe causare nel breve termine un declino nella popolazione delle api che morirebbero di fame per la mancanza di foraggera spontanea che è stata rimpiazzata dal bambù. Nel lungo termine, nel giro di 100 anni, il bambù si sostituirebbe alla flora spontanea, con buona pace dei sostenitori della rinaturalizzazione della flora sarda autoctona attraverso l’estirpazione dell’odiato eucalipto, anch’esso «alloctono».



Gli esempi che ho descritto dimostrano una difficoltà a concepire la «sostenibilità» in termini di co-azione sul territorio di diversi organismi, umani e non umani. Un diritto “della terra” a vedersi riconosciuta l’interazione intima tra diverse specie che la fa, con l’azione dell’umano, ciò che essa è.

Ci sono, dunque, altri modi per tutelare la biodiversità dell’Isola senza creare semplicemente delle “fortezze della conservazione” [xiv] in cui non è concessa alcuna azione umana, o al contrario senza trasformarla radicalmente per mezzo di avveniristici progetti di impianto (Bambù e Noccioleti) o espianto (Eucalipto) di specie vegetali «allogene»?

Forse occorrerebbe ripartire dalle società delle api per ripensare la società degli umani, e cioè prendere in considerazione anche le loro esigenze per ripensare il concetto di sostenibilità in un quadro che implichi e comprenda l’intero ecosistema. Solo così saremo in grado di sviluppare progetti di agro-business che siano realmente compatibili sul piano ambientale e produttivi dal punto di vista economico per tutti. Ripartire dall’apicoltura per salvare le produzioni agricole e alimentari e pensare il nostro sistema di produzione del cibo come un sistema circolare.


 

[i] Piano energetico ed ambientale della regione Sardegna 2015-2030 proposta tecnica, p. 66.

[ii] Contratto quadro ai sensi degli artt. 10 e 11 del decreto legislativo n. 102 del 27 maggio 2005, p.4.

[iii] Piano di approvvigionamento della biomassa, San Quirico, Comune di Oristano, p. 3-4.

[vi] Valeria Gianoglio, “Le prime piante di bambù nelle campagne della Sardegna” in La Nuova Sardegna, 29 gennaio 2019.

[vii] Antonello Palmas, “Sbarca nell’isola il bambù gigante, già partite le prime coltivazioni” in La Nuova Sardegna, 12 aprile 2018.

[viii] Floris I., Satta A., Ruiu L., Mieli di Sardegna (Italia). Honeys of Sardinia (Italy), in Journal of Apicultural Research and Bee World 46 (3): 194-2014, 2007. P. 9.

[xi] Prospettive e sfide per il settore dell'apicoltura dell'UE Risoluzione del Parlamento europeo del 1° marzo 2018 sulle prospettive e le sfide per il settore dell'apicoltura dell'UE (2017/2115 (INI)). P. 2.

[xii] Chiara Spadaro, “Filiera corta e biodiversa. Il futuro della nocciola” in Altreconomia, N. 204. Maggio 2018.

[xiii] Shangbin Bai , Richard T. Conant, Guomo Zhou, Yixiang Wang, Nan Wang, Yanhua Li & Kaiqiang Zhang, “Effects of moso bamboo encroachment into native, broad-leaved forests on soil carbon and nitrogen pools”, in Scientific Reports 6, Article number: 31480 (2016).

[xiv] T. Heatherington, "Remodeling the Fortress of Conservation? Living Landscapes and the New Technologies of Environmental Governance", Anthropological Forum Vol. 22, No. 2, July 2012, 165185.




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