di Greca N. Meloni
Uno degli aspetti che ultimamente preoccupa maggiormente gli apicoltori sardi (e non solo) è legato al potenziale nettarifero dei fiori e delle piante presenti sul territorio. A causa della disastrosa siccità che ha caratterizzato le stagioni produttive tra il 2016 e il 2017, la produzione di miele nel 2017 si è drasticamente ridotta. [i] Tuttavia, le abbondanti piogge della scorsa primavera protrattesi fino al mese di giugno facevano ben sperare gli apicoltori sardi della possibilità di un altrettanto abbondante raccolto delle fioriture primaverili e di un discreto se non buon raccolto della fioritura estiva. Eppure, qualcosa sembra essere andato storto e gran parte degli apicoltori in tutta l’isola lamentano una produzione di miele ben al di sotto delle aspettative. Sembrerebbe che benché i campi fossero ricchi di fioriture spontanee di macchia mediterranea le api non abbiano raccolto granché e che si mostrassero addirittura disinteressate.
"Perché le piante non davano nettare? Perché se ho posizionato gli alveari davanti a intere distese di cardo, le api non sono riuscite a produrre miele di cardo? Perché se il fiore c’era le api non ci andavano? Cosa è successo?"
Queste sono alcune delle domande su cui si interrogano gli apicoltori sardi e su cui potrebbe essere utile soffermarsi a riflettere con spirito critico.
Un altro aspetto osservato dagli apicoltori è che mentre l’importazione di nettare era ridotta al minimo, al contrario la raccolta di polline si mostrava nella norma. In altre parole, sembrerebbe che i fiori abbiano ridotto drasticamente la secrezione nettarifera ma abbiano mantenuto costante la produzione pollinica.
Cosa è successo dunque?
Sebbene il campo delle scienze naturali non sia il mio terreno d’indagine, proverò tuttavia ad attingere agli studi in campo antropologico nella lettura di alcuni fenomeni naturali che regolano il rapporto tra api e piante cercando di offrire alcuni spunti di riflessione sulle relazioni tra l’Uomo e l’Ape e il mondo che entrambi condividono.
È generalmente risaputo che le api garantiscono la riproduzione e diffusione di parte delle specie vegetali attraverso la cosiddetta impollinazione entomofila. Forse però non tutti sanno che questo rapporto tra api e flora è dovuto a millenni di evoluzione in cui alcuni tipi di organismi vegetali hanno modificato colore, profumo e conformazione dell’apparato riproduttivo affinché potessero diventare maggiormente attraenti per le api. In altre parole, api e specie vegetali sono legate da un rapporto di co-evoluzione. Questo rapporto di co-evoluzione in qualche modo si inserisce nella rete di comunicazione tra piante in cui gli organismi vegetali si servono dei funghi per condividere informazioni e sostanze nutritive. Le piante instaurano infatti una relazione simbiotica con i funghi definita micorriza che è indispensabile per la loro sopravvivenza. [ii]
Come si vede, il concetto di co-evoluzione si fa più complesso, non limitandosi al semplice rapporto che le api intrattengono con gli organismi vegetali, ma includendo anche le relazioni che questi organismi stabiliscono tra loro e con le altre specie. Siamo dunque di fronte a quella che potrebbe definirsi una relazione inter-specie.
Ma in che modo definire inter-specie il rapporto che lega tra loro api, fiori, piante e funghi dovrebbe essere di qualche aiuto a rispondere alle domande sulla mancata produzione di miele che si pongono gli apicoltori?
L’antropologa Anna Tsing nel suo interessante libro intitolato The Mushroom at the End of the World: On the Possibility of Life in Capitalist Ruins (Princeton University Press, 2015) sostiene che:
“Piuttosto che limitare le nostre analisi a una creatura alla volta (compresi gli umani), o anche a una relazione, se vogliamo sapere che cosa rende abitabili i luoghi dovremmo studiare assemblaggi polifonici, raduni di modi di essere.”
In altre parole, secondo Anna Tsing, per capire la nostra posizione nel mondo dovremmo prendere in considerazione il fatto che il mondo che abitiamo e in cui esercitiamo il nostro agire è legato all’agire di una moltitudine di specie ciascuna delle quali esercita la propria azione sul mondo simultaneamente a quella degli altri esseri viventi. Questo “assemblaggio” di azioni coordinate, questo co-agire, dipende dalle contingenze storiche che possono modificare o soppiantare la fitta rete di relazioni inter-specie che determina il nostro stare nel mondo.
Così, davanti alla scarsa produzione di miele potremmo aggiungere delle osservazioni di carattere empirico. Se è vero che nonostante le abbondanti piogge la produzione nettarifera è stata scarsa, è vero anche che è ricomparsa moltissima vegetazione spontanea che in tanti anni di siccità sembrava scomparsa, e che gran parte delle piante e degli arbusti tipici della macchia mediterranea presentano a luglio germogli lunghi almeno venti centimetri, segnale che potrebbe indicare un certo benessere del sottosuolo.
La lettura offerta da Tsing potrebbe essere utile a riformulare le domande che ci siamo posti inizialmente e a porne delle nuove. Non più quindi “perché le api non hanno prodotto miele?” o “perché se il fiore c’era le api non ci andavano?”, quanto piuttosto “perché i fiori hanno smesso di esercitare il loro fascino sulle api, cosa sta accadendo tra fiori, piante, api e altri microorganismi?” e ancora “Che relazione c’è tra la scarsa secrezione nettarifera dei fiori, la siccità degli ultimi anni e le improvvise e abbondanti piogge degli ultimi mesi? Siamo forse di fronte a un adattamento delle piante ai cambi climatici? E qual è il ruolo dell’Uomo in tutto questo?”
Ripensare il rapporto tra apicoltore e organismo alveare come una relazione inter-specie può essere una via utile da percorrere per ripensare non solo l’apicoltura ma anche il nostro stare nel mondo. Ma significa anche essere in grado di andare oltre l’idea dell’apicoltura legata meramente alla produzione di miele o all’attività di impollinazione nel settore agrario fino a ripensare l’intero sistema di produzione del cibo da cui dipendiamo.
Utilizzare le teorie inter-specie possono inoltre aiutarci a osservare meglio anche il fenomeno della moria delle api degli ultimi anni. Da una parte la moria delle api, dall’altra piante nettarifere che smettono di attirare le api. La co-evoluzione tra organismi vegetali e api ha probabilmente determinato un rapporto stretto tra popolazione di insetti pronubi e capacità nettarifere di un determinato territorio. Se quelle stesse piante un tempo attraenti per gli insetti pronubi smettono di esercitare il loro fascino sulle api forse il problema non è tanto la mancata produzione di miele quanto il fatto che dovremmo ri-pensare il nostro modo di fare apicoltura dando maggiore importanza alle relazioni di natura inter-specie che le api costruiscono con l’ambiente. Questo non significa però che l'apicoltura da reddito debba scomparire. Significa piuttosto che l'apicoltore e coloro in modo diverso si occupano di gestione del comparto apistico dovrebbero riflettere maggiormente sulla propria posizione all'interno della rete inter-specie e valutare il proprio fare come parte del fare simultaneo di tanti esseri viventi.
Prendere in considerazione la fitta rete di relazioni e di co-azioni esercitate simultaneamente dagli esseri umani e dagli esseri non-umani sulla terra potrebbe suggerire nuovi approcci per una gestione sostenibile delle risorse naturali e del territorio. Ma potrebbe anche offrire nuovi e utili spunti per la gestione del comparto apistico regionale (e non), in un’ottica di integrazione e coordinazione dell’apicoltura con le diverse attività produttive sul territorio.
Greca N. Meloni
[i] Si veda: http://www.repubblica.it/economia/rapporti/osserva-italia/osservacibo/2018/04/04/news/il_2017_anno_nero_del_miele_mai_vista_una_crisi_cosi_-192961559/
[ii] A questo proposito si vedano gli studi condotti da Suzanne Simard e dal gruppo di ricerca sugli Ecosistemi del sottosuolo di cui fa parte: http://beg.forestry.ubc.ca/
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