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Sarrabus: C’erano una volta i Casiddus

di Giuseppe Bellosi


Circa una quarantina di anni fa discutendo con pastori di Villagrande che in autunno-inverno facevano transumanza con pecore e capre nel Sarrabus (Sardegna) e gestivano nel cuili di Monte Porceddus ai piedi del Sette Fratelli un apiario di un centinaio di casiddus, ero venuto a conoscenza che la pratica di apporre il melario era, almeno per loro e in quel periodo, pratica comune. Il melario sovrapposto al bugno lo chiamavano cappello.



Tuttavia, mi chiesero collaborazione per travasare i bugni in arnie razionali in quanto quel tipo di allevamento, che non consentiva l'ispezione periodica delle covate, aveva nel tempo la continua e ripetitiva dinamica di “andare a zero” per dirla come dicevano loro, dovendo ricominciare da capo ogni volta, dopo aver disinfettato tutto con il fuoco. Un iniziale caso di peste americana non poteva essere riconosciuto, l’alveare veniva saccheggiato e la peste si diffondeva e colpiva l'intero apiario così si doveva ricominciare da capo. Questa dinamica mi è stata raccontata anche da un anziano ormai deceduto della famiglia Pili di San Priamo, storici apicoltori della zona che gestivano un apiario con diverse centinaia di casiddus nel cuili in località Pranu is Abis, toponimo che risale al Medioevo (un villaggio di circa 17 fuochi, ovvero 17 famiglie).

A monte del cuili c’era e c’è Serra is Abis ed in cima a questa il Nuraghe Is Abis. Una zona quindi storicamente dedita all'allevamento apistico dove si recava per acquisto di miele anche il grossista Pranteddu di Nuoro.

Ebbi occasione di avere come cliente un’anziana apicoltrice che ci stupì quando assaggiando il miele di Lavanda (Stoechas) commentò: ‘Sì, est meli de s'abioi, però si sente poco poco unu fragu de cussu meli de mudregu’. Erano i primi anni, non eravamo stati precisi nel prelievo ed era entrato un po' di polline di Cisto. Rimanemmo stupiti per la competenza.


Interno di uno "skep hive" (alveare di vimini).

Lucia Piana de is casiddus poi ci raccontò che sin da bambina aveva aiutato i familiari a gestire le api nei monti di Castiadas. Smielavano scendendo nel casiddu con un lungo coltello ricurvo e si fermavano all'inizio della covata, senza uccidere le api. Parlando con altre persone di questa antica forma di apicoltura che si basava sulla sciamatura e quindi portava a veloci aumenti del numero dei casiddus (almeno per chi li seguiva), venni a sapere che in genere presso i cuili era presente come si diceva allora la figura del servo, che nel periodo delle scossure era ogni giorno in apiario e con i nuovi o vecchi casiddus passati al fuoco (detti anche tini) era pronto dopo averli unti di succo di limone a raccogliere gli sciami al volo mentre uscivano dall'arnia madre. Mi dicevano interrogativamente ‘A volte la scossura tornava ad andarsene, si vede che la casa non gli era piaciuta’. Lavoravano con le conoscenze che avevano, non potevano sapere come sappiamo oggi che le esploratrici avevano già scelto altro sito prima di sciamare e nel caso avevano mantenuto la scelta iniziale. Poi la maggior parte degli sciami si adattavano all'intervento di modifica e rimanevano nel casiddu.



Era comunque un mondo con tanta poesia in più rispetto a quella che ci rimane oggi che siamo tanto razionali…




Giuseppe Bellosi


Uno sciame d'api

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