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Le api stanno morendo... di caldo!



Erano ormai dieci giorni che l’anticiclone delle Azzorre aveva lasciato il posto all’anticiclone africano. Le giornate erano calde, troppo calde. Non si dormiva la sera. Ci svegliavamo che c’erano già 30º e andavamo a dormire con oltre 35º. Nel mezzo, giornate monotone con temperature sempre oltre i 40º e in alcuni casi raggiungevano i 45º. Monotone perché con quel caldo non si può fare nulla. Non c’è ristoro serale, un momento di tregua. Solo, forse, l’aria condizionata. Ma quella lo so, raffredda dentro e riscalda fuori.

Il 19 luglio ero in apiario a fare delle riprese. È stato un caso. Accompagnavo una troupe per fare delle riprese e avevo la telecamera con me. Siamo usciti tardi, dopo le 19, per evitare il caldo e abbiamo guidato di corsa verso la campagna, là dove ci sono immense distese di eucalipti, lì, dicevo, il caldo dovrebbe essere più sopportabile. Quando siamo scesi dalle auto ho avuto la sensazione di aprire l’anta di un forno ventilato. Ci abbiamo scherzato su. D’altra parte “presto tramonterà il sole e ci sarà più fresco” pensavamo. C’era però qualcosa di strano in quegli alberi che conosco da tutta la vita, qualcosa che non avevo mai osservato. Magari perché non mi interessava, magari con il caldo estivo, le foglie degli eucalipti sono sempre rattrappite, accartocciate, imbrunite come abbrustolite, così come quel 19 luglio, durante l’ondata di calore anomalo. Effettivamente, in questa zona del sud Sardegna, ai piedi del Monte Arcosu e vicina alla laguna, non sono mai state segnalate temperature così estreme. Quel giorno, nel Campidano di Cagliari, si registravano temperature fino a 47,7º all'aria.
Oltre alle piante, anche gli insetti erano strani. Le mosche, a migliaia sembravano aggredirci. Piccole mosche nere, di quelle che normalmente si vedono vicino a mucche o cavalli. Si muovevano come impazzite. Erano così tante che siamo dovuti tornare in macchina per spostarci. Dentro, l’auto segnava 58º. “Non può essere!” ho pensato. La macchina era all’ombra, in un bosco, non poteva essere così caldo. Eppure, l’aria era irrespirabile, secca, quasi senza ossigeno.
Arrivati nei pressi dell’apiario sistemato all’ombra di un bosco di eucalipti, noto subito le api che svolazzano attorno a noi. “Queste api sono sempre molto aggressive, meglio mettersi tuta e maschera prima di avvicinarsi.” Così protetta, mi avvicino all’apiario con la telecamera accesa. C’era qualcosa di strano. Il miele e la cera colavano a terra dall’interno dell’alveare. Le api, come stordite, cercavano riparo ovunque, si muovevano impazzite. Non avevano un comportamento aggressivo, al contrario. Volavano disperate in cerca di ristoro. A migliaia morte a terra, senza speranza. Il caldo le stava uccidendo.

Più tardi, ho saputo che la stessa cosa è accaduta in altri apiari, nella piana del Cixerri, nel Sarrabus, nel Parteolla. Contemporaneamente, foto di vigne con acini appassiti e foglie rattrappite ancora sugli alberi.


E questa è stata solo la prima ondata. Il 24 luglio le poche famiglie di api rimaste vive sono morte in quegli apiari colpiti da una ulteriore ondata di calore. In alcune zone, si parla di oltre 25.000.000 di api.




Testo, foto e video di Greca N. Meloni

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