di Greca N. Meloni
Una delle attività che caratterizza la pratica dell’apicoltura è l’osservazione. L’apicoltore non è mai ‘fuori servizio’, ogni passeggiata all’aria aperta si trasforma in un’attività di lettura e analisi dei segnali del mondo naturale che possano informarlo sulla salute dell’ambiente. Lo stato di umidità del terreno, una fioritura precoce o tardiva, la presenza o meno di patologie sulle piante nettarifere, la frequenza con cui le api si avvicendano tra un fiore e l’altro sono tutti aspetti fondamentali che contribuiscono a valutare la portata del prossimo raccolto e dunque legati al benessere delle famiglie di api. L’osservazione rappresenta anche una delle tecniche di ricerca etnografica più tipiche del mestiere dell’antropologo. Accompagnare un apicoltore a far visita ai suoi apiari e osservarlo durante le attività che scandiscono la conduzione degli alveari è uno dei sistemi utili a conoscere e imparare a capire cosa significa fare apicoltura. Per esempio, in occasione di un normale controllo dello stato delle famiglie a fine inverno:
“ L’apicoltore in tuta bianca scende dal suo furgone, apre il portello posteriore e verifica che tutti gli attrezzi che gli occorrono siano a portata di mano. Strappa una striscia da un pezzo di cartone, la arrotola e con un accendino accende una piccola fiammella. Con il braccio esegue poi dei movimenti altalenanti fino a quando il rotolo di cartone inizia a bruciare uniformemente. A questo punto inserisce il rotolo di cartone nel vano cilindrico dell’affumicatore, pressa alcune volte il soffietto per dare maggiore aria e favorire la combustione e richiude poi il beccuccio. Si infila la maschera, afferra leva e affumicatore, e si avvicina spedito verso i suoi alveari. Prima di arrivare alla postazione, composta da circa una trentina di arnie affiancate tra loro, qualcosa attira la sua attenzione nell’ambiente intorno. Una volta raggiunto il luogo in cui si trovano gli alveari, passa davanti a ciascuna arnia, e lentamente osserva le api che entrano ed escono dalla porticina posizionata sul lato frontale delle arnie. Supera la prima, si sofferma per qualche minuto sulla seconda e sulla terza, poi si inchina, raccoglie una pietra dal terreno e la posa sul coperchio di un’arnia, proseguendo allo stesso modo per tutta la postazione. Ripete ancora alcune volte il gesto di posizionare una pietra sul coperchio di alcune arnie. Si sposta quindi nella parte posteriore dei cassoni, e si avvicina a uno di quelli in cui ha posato una pietra. Rimuove la pietra e di seguito il coperchio con un gesto deciso. A questo punto inizia a fare fumo sul melario che si trova immediatamente sotto il coperchio, poi lo rimuove aiutandosi con la leva. In seguito getta un altro po’ di fumo all’interno del buco che si trova sul coprifavo e poi ancora ai bordi laterali tra questo e il corpo principale dell’arnia in cui è situato il nido. Con un gesto deciso ma cauto muove la leva per separare le due parti e aprire il nido. Si sofferma a osservare qualcosa sulla parte interna del coprifavo e poi rimane a osservare le sue api, avvicinandosi con il corpo e con il viso, senza muovere i telaini del nido, di tanto in tanto gettando altro fumo. In seguito richiude e prosegue ripetendo l’operazione tante volte quante sono le arnie su cui è posta una pietra. Prima di andare via solleva da dietro alcuni cassoni poi torna sul davanti a dare un ultimo sguardo.”
L'apicoltura in Sardegna: uno sguardo antropologico
Greca N. Meloni
in Api Buridane (a cura di Luigi Manias)
Questa breve descrizione, malgrado non sia da intendere come esaustiva o uguale per tutti coloro che praticano apicoltura, è comunque sufficiente ad introdurre il discorso sullo straordinario bagaglio di saperi che generalmente un apicoltore deve possedere per poter svolgere il suo lavoro. Ogni gesto, ogni pausa del percorso che conduce l’apicoltore al suo apiario rappresenta non solo un momento di osservazione ma una vera e propria analisi dell’ambiente. L’apicoltore interroga l’ambiente, cerca di scoprire e decodificare i segnali nascosti della natura. E per fare questo utilizza la sua esperienza, il suo vissuto, la conoscenza che ha del territorio e dei fenomeni, naturali e umani insieme, che nel corso del tempo hanno contribuito a formare il paesaggio in cui opera, l’ambiente in cui vive.
Quando l’apicoltore si sofferma a osservare il volo delle api all’esterno dell’arnia ancora una volta sta cercando di decodificare, attraverso la sua esperienza, i segnali che le sue api gli trasmettono. Una volta aperto il nido l’osservazione si fa più precisa. L’apicoltore cerca con lo sguardo i segni che possano confermare o dissipare i suoi dubbi: conta i telai da nido da cui risalgono le api e annusa l’odore che emana dal nido. Ciascun gesto ha il fine ultimo di valutare la presenza o meno di patologie di vario genere all’interno dell’alveare, ma anche di verificare lo stato evolutivo sia delle celle che delle api, la presenza di scorte, la possibilità o meno che una famiglia sia pronta alla sciamatura. Attraverso l’olfatto può invece accorgersi degli umori dell’alveare.
L'apicoltura come pratica esperta
L’apicoltura è dunque una pratica complessa, che coinvolge non solo la mente e il corpo, ma anche i sensi. Si potrebbe dire che in certi casi l’apicoltura si configura come pratica meditativa che ruota attorno a tre elementi fondamentali: l’apicoltore-uomo, l’organismo alveare e il territorio. L’apicoltore costruisce il suo rapporto con le api e con l’ambiente attraverso il suo sapere e questo a sua volta si arricchisce notevolmente nel fare apicoltura.
Così che gli apicoltori, nella loro abilità di riconoscere anche i minimi segni di squilibrio nell’ambiente, certe volte si configurano come i massimi conoscitori della salute dell’ambiente. Dopo le api ovviamente.
Carissima Greca, alcune righe per chiarire una questione a mio parere nodale che credo che in molti "esseri umani ronzanti", chiamiamoli apicoltori o api-cultori come io preferisco, non sia del tutto chiara. La questione riveste invece una posizione nodale in quello che é il modello di pensiero che dovrebbe essere modus di chi approccia un super-organismo sciame, essere cosi complesso e delicato che ammette pochi errori e, quel che più conta , non ammette pensieri scorretti o malati giá nella prima fase. Voglio parlare dei primi tre passi nella nascita del pensiero diritto: il desiderio, la sensazione, la percezione. Lascio perdere per ora il primo, magari ne parleremo. Parto dal secondo. La sensazione. La parola richiama in gioc…